domenica 8 aprile 2012

Le buone pratiche: I professori dell'autoriforma

nuove ali a vecchi sogni....o meglio nuove ali per nuove prospettive...

Riporto dalla Domenica 24 di domenica scorsa, uno doveroso articolo dello storico Sergio Luzzato che ha dedicato un omaggio ai "professori dell'autoriforma" ovvero quegli insegnanti che, incuranti delle (non)riforme, del programma, dello stipendio, del tempo necessario, dell'indifferenza che li circonda, si dedicano al rinnovamento della scuola, colmando il gap sempre più profondo tra informale, non formale e formale, tra la vita fuori e la scuola dentro...una scuola che chiude ermeticamente le porte al mondo dei propri utenti...
"Eppure, nelle scuole italiane ci sono anche professori – una minoranza, ma una minoranza significativa – che hanno imboccato o stanno imboccando un cammino differente: a prescindere dalla riforma Gelmini, dalla riforma Berlinguer, da chissà quali altre riforme passate o future. Potremmo chiamarli, per semplicità, i professori dell'autoriforma: altrimenti la riforma dovrebbe avere tanti cognomi quanti sono questi insegnanti che non coltivano né la religione dell'imboscamento né quella del piagnisteo. Che non si limitano a lavoricchiare sospirando il 27 del mese, né minacciano di «togliere il disturbo» perché la scuola italiana non è più quella di una volta.
Sì: per esperienza diretta o per sentito dire, quali docenti dei figli nostri o dei figli di amici, a livello di scuola secondaria inferiore o di scuola superiore, in un liceo classico o in un istituto professionale, tutti noi sappiamo come nelle scuole italiane esistano professori di una specie particolare. Sono gli insegnanti che non fanno finta di niente. Che riconoscono eccome l'impatto epocale delle nuove tecnologie sulle modalità di trasmissione della conoscenza. Che si interrogano eccome sulla concorrenza di «agenzie educative» estranee agli ambienti della scuola tradizionale. Che si misurano quotidianamente (per fare un unico esempio) con l'evoluzione materiale e immateriale del concetto di "classico". Che si pongono eccome, insomma, il problema di un digital divide culturale e antropologico oltreché generazionale. E che cercano di rimediare a questa separazione – di colmare il vuoto fra professori e studenti – attraverso una didattica innovativa nelle forme come nei contenuti."

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